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SOS Didattica #5: L'autobiografia linguistica, conoscerci meglio attraverso le lingue che parliamo

  • Immagine del redattore: Elisa
    Elisa
  • 31 ago 2023
  • Tempo di lettura: 6 min

Vi siete domandati perché la notizia di qualche mese fa su Harry Styles che parla in italiano ai suoi fan italiani riuniti all'arena Campovolo di Reggio Emilia per il suo concerto abbia fatto il giro delle principali testate giornalistiche del Bel Paese, nonostante si trattasse di un dettaglio tutto sommato marginale? Perchè (come sappiamo da sempre, eppure ogni tanto vale la pena di ripeterlo) la lingua non è solo un mezzo di comunicazione (anche), ma si tratta, in primo luogo, di uno strumento di connessione e incontro con l'Altro, oltre che di espressione della propria identità e cultura(e) di appartenenza. Insomma, mentre parliamo, la lingua parla di noi, del nostro vissuto, del nostro mondo interiore, e ci parla, ci interroga.

Per questo motivo, un tema che trovo di assoluta importanza da affrontare in classe con i nostri apprendenti, soprattutto nel caso di gruppi plurilingui, è quello dell'autobiografia linguistica. Ne avete mai sentito parlare? Lo usate già coi vostri studenti? Qui di seguito vi riporto un esempio pratico di attività sul tema, accanto a un paio di consigli di lettura in merito.



L'autobiografia linguistica

Prima di tutto, per "autobiografia linguistica" si intende una tipologia testuale che negli ultimi anni è stata oggetto di tanti studi a livello scientifico, soprattutto per chi si occupa di insegnamento-apprendimento (dell'italiano e non solo) in contesto migratorio. Nell'autobiografia linguistica, trattandosi di un'autobiografia vera e propria, l'apprendente è incoraggiato a raccontare in prima persona tutto ciò che ha un legame con il suo patrimonio linguistico personale, inteso come l'insieme delle lingue, delle varietà e dei dialetti che conosce, comprende e attivamente impiega. Secondo le indicazioni del PEL (Portfolio Europeo delle Lingue), le biografie linguistiche in generale dovrebbero, infatti, "fornire un quadro d’insieme delle esperienze d’apprendimento linguistico, indicando le scuole e i corsi frequentati e illustrando l’uso della lingua nelle diverse situazioni", sia istituzionali che extra.

L'obiettivo è mitigare quel senso di frammentazione dell'identità individuale citato in un'interessante intervista a Elvira Mujčić (7:41-9:48), in cui la scrittrice e traduttrice, raccontandosi, sostiene, ad esempio, di "non avere un'infanzia in italiano", avendo acquisito questa lingua solo durante l'adolescenza, e di relazionarsi ancora oggi al bosniaco (la sua L1) come a "una lingua cristallizzata nel tempo", l'unica che le permetta di accedere ai ricordi della sé stessa bambina, e in cui tuttavia non sia "mai diventata grande", essendosi poi trasferita in Italia e "non avendo più abitato" quell'idioma.

Mi ha colpito inoltre la sua riflessione a proposito dell'immigrato (ma, a mio avviso, valida per lo straniero in generale) che, sottolinea Mujčić, viene descritto sempre "per sottrazione", cioè per quello che non ha, che gli manca, anziché per la ricchezza che porta con sé nel suo entrare in contatto e inserirsi in una nuova lingua-cultura, diversa da quella d'origine - concetto complementare a quello di un altro scrittore che del multi- e mistilinguismo ha fatto la sua bandiera, e cioè Carmine Abate, autore (non a caso) del volume "Vivere per addizione".

Nato a Carfizzi (KR) e appartenente a una delle comunità arbëreshë di Calabria, nel corso della vita si è trasferito prima in Germania e poi in Trentino-Alto Adige; parla arbëreshë e dialetto calabrese, ha appreso l'italiano successivamente, così come il tedesco, e adesso vive in una zona di confine storicamente bilingue. Quando scrive, però, per esprimersi fino in fondo e in modo davvero autentico, sceglie di utilizzare non una di queste lingue, ma tutte contemporaneamente, attivando cioè il suo patrimonio linguistico nella sua interezza. Siccome ogni lingua fa capo solo a un pezzettino della sua esperienza di vita, infatti, per manifestare il suo essere un individuo completo e fare ciò che meglio sa fare (cioè narrare storie), non a caso non rinuncia a nessuna delle sue lingue.


Un'attività didattica per l'autoconsapevolezza linguistica

In linea con le interessanti considerazioni di Groppaldi a proposito dell'autobiografia linguistica, però, non più intesa solo come espediente letterario da parte di scrittori professionisti, ma come un vero e proprio strumento didattico in mano all'insegnante per rendere i nostri apprendenti più consapevoli del proprio patrimonio linguistico-culturale individuale, ho affrontato più volte in classe questo tema, naturalmente in modo diverso a seconda del pubblico di riferimento (età, profilo di apprendente, livello del QCER). Un'attività che, però, ben si è prestata a un ventaglio variegato di apprendenti (nel mio caso universitari, adulti e anziani, quindi non il pubblico originariamente pensato per questo tipo di riflessione) è quella del cosiddetto "omino delle lingue".

In che cosa consiste? Ho consegnato ai miei apprendenti una fotocopia con l'immagine seguente, cioè la versione stilizzata dell'omino di pan di zenzero provvisto di un grande cuore (se parliamo di lingue e identità, il cuore non può proprio mancare!). Dopo un primo attimo di diffidenza o ilarità a seconda dei casi, ho chiesto loro di pensare a tutte le lingue/dialetti che conoscevano, di indicare a quale parte del corpo li avrebbero associati e di provare a spiegare perché in italiano, eventualmente con l'aiuto di quelle stesse lingue menzionate.


Vi faccio un esempio: non essendo purtroppo dialettofona, le mie due lingue del cuore sono l'italiano (nella varietà "milanese") e l'inglese "internazionale", che associo a due parti diverse della mia personalità e della mia esperienza di vita (in Italia, dove sono cresciuta, e in Australia, dove ho iniziato a costruirmi come cittadina del mondo); ciascuna di queste due lingue mi permette di esprimermi al 100% e in modi diversi attinge ai miei ricordi e alle mie emozioni più profonde. L'italiano è, però, la sola lingua della pancia perché è la lingua che uso quando mi esprimo in modo istintivo (esclamazioni, interiezioni, insulti, ...), senza passare dal cervello e dal pensiero razionale, oltre naturalmente a essere quella dei "sapori di casa" (vogliamo parlare della felicità dopo aver assaggiato un piatto di pasta home-made? Ecco). Il tedesco standard, all'opposto, per me è la lingua della testa, perché per certi versi è estremamente logica (funziona come i pezzi del Lego!) e mi serve ancora un grande sforzo cognitivo per poterla utilizzare ad un certo livello. L'inglese e il tedesco austriaco, invece, sono le lingue delle orecchie perché hanno una melodia e dei suoni che associo a sensazioni positive, come quando ascolto la musica per rilassarmi.


Altri esempi interessanti da parte degli studenti sono stati: la lingua delle gambe, perché mi permette di viaggiare e muovermi agevolmente in giro per il mondo; la lingua degli occhi, perché associata all'estetica e al Bello; la lingua delle mani, perché molto pratica e subito pronta all'uso.



La presentazione di ciascun omino (prima attraverso un confronto a coppie o piccoli gruppi e poi riferendo in plenum quanto discusso), secondo la mia esperienza, dovrebbe dare la possibilità agli studenti di rendersi conto di alcuni aspetti:

  1. di quanto sia importante valorizzare TUTTE le lingue che fanno parte del patrimonio linguistico-culturale di ognuno, compresi dialetti e varietà regionali, intesi come sistemi linguistici indipendenti (questo assume un ruolo centrale soprattutto in contesti di cosiddetto "semilinguismo", cioè la mancata padronanza di un sistema linguistico a causa di un input impoverito - completamente opposto alla nozione di "interlingua" che, invece, identifica il sistema linguistico dinamico e in evoluzione di una persona impegnata in un processo di acquisizione linguistica);

  2. che ogni lingua abbia un valore diverso, individuale per ciascuno, legato a infinite variabili che, però, fortunatamente impediscono a priori di indicarne una "migliore" o una "peggiore" a livello qualitativo (per quanto siano diffuse considerazioni di tipo economico e/o di "spendibilità" ad esempio dell'inglese come lingua veicolare internazionale rispetto a lingue considerate più "di nicchia");

  3. di quale sia il rapporto che ciascuno di loro ha con queste lingue, delle emozioni che provano nell'utilizzarle (entusiasmo, indifferenza, rifiuto, ...) e che conseguenze questo possa avere rispetto alla maggiore o minore facilità di apprendimento e/o agli eventuali risultati (certificazioni, compiti in classe, esami, ...).

È un'attività che apre gli occhi, ad esempio, ai figli di genitori immigrati che, seppur con buone intenzioni ma forse per vergogna, hanno evitato per anni di parlare a casa la loro madrelingua per paura che i bambini non imparassero bene a sufficienza la lingua del posto e non si sentissero integrati; o dei figli di genitori dialettofoni che per questioni di prestigio linguistico rispetto allo standard hanno fatto la stessa scelta; o, ancora, dei bilingui non cresciuti come tali per paura che "si potessero confondere" imparando due lingue contemporaneamente; o di studenti che pensano di non "avere talento per le lingue" quando in realtà è una questione di filtro affettivo e basta poco per risvegliarne l'interesse.

Portare alla luce del sole e rendere consapevoli i nostri apprendenti del rapporto che hanno instaurato nel tempo con le varie lingue-culture con cui sono entrati in contatto può aiutare loro a evitare vissuti spiacevoli o difficoltà di acquisizione, e contemporaneamente può agevolare noi insegnanti nella nostra missione di facilitatori linguistici e guide d'apprendimento.


Alcuni consigli di lettura

Per concludere, ecco una breve lista di libri accessibili a livelli diversi di competenza linguistico-comunicativa (trovate anche i volumi dei già citati Mujčić e Abate) che possono fornirci gli spunti giusti per introdurre il tema dell'autobiografia linguistica nella nostra classe di italiano L2:

  • "Amiche per la pelle" di Laila Wadia, Edizioni E/O, 2007 (adatto da un livello A2+);

  • "In altre parole" di Jhumpa Lahiri, Guanda, 2015 (adatto da un livello B1);

  • "Resto qui" di Marco Balzano, Einaudi, 2018 (adatto da un livello B1+);

  • "La lingua di Ana - chi sei quando perdi radici e parole?" di Elvira Mujčić, Infinito Edizioni, 2015 (adatto da un livello B2);

  • "Il banchetto di nozze e altri sapori" di Carmine Abate, Mondadori, 2016 (adatto da un livello B2+).

E tu? Hai mai utilizzato qualcuno di questi strumenti (libri, attività, ...) in classe? Come hai affrontato il tema delle biografie linguistiche? Sono curiosa di leggere le vostre esperienze didattiche nei commenti!

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