SOS Didattica #4: Imparare l'italiano... con gli scacchi!
- Elisa
- 1 ago 2023
- Tempo di lettura: 5 min
Sì, avete letto bene! E no, la serie TV "The queen's gambit" non c'entra nulla.
Non si tratta propriamente di ludodidattica, ma il gioco degli scacchi secondo me può offrire tantissimi spunti e opportunità di apprendimento dell'italiano (o eventualmente anche di altre lingue straniere), soprattutto se abbiamo a che fare con studenti un po'... difficili - leggasi poco motivati, distratti, disinteressati. Provare per credere!

Una piccola premessa
Se ci affidiamo alle informazioni di National Geographic, gli scacchi nascono in India più di mille anni fa e non identificano un unico gioco, bensì un'intera famiglia di giochi in cui non siano presenti fattori di casualità (niente dado, ruota della fortuna o simili, insomma) e in cui la vittoria o la sconfitta sia legata alla cattura di un pezzo predeterminato (ad esempio il re).
Per semplicità e per capirci meglio, con l'espressione "scacchi" mi riferirò al gioco che probabilmente tutte/i abbiamo in mente, e cioè composto da 32 pezzi (16, bianchi o neri, per ogni sfidante) in cui siano presenti pedoni, torri, cavalli, alfieri, re e regina.
L'idea di utilizzare gli scacchi come primo approccio all'italiano con un principiante assoluto mi è venuta a partire da una situazione reale a contatto con uno studente non particolarmente motivato a imparare l'italiano che, anzi, si sentiva un po' costretto dalle circostanze a entrare in contatto con una lingua-cultura per la quale non nutriva alcun interesse.
L'analisi dei bisogni d'apprendimento, insieme a un pizzico di empatia, mi è venuta in soccorso: dopo il classico brainstorming sulle parole italiane già conosciute, sono, infatti, passata alla domanda "che cosa ti piace?" insieme a un set di risposte fisse e di livello base ("mi piace la musica italiana", "mi piace il gelato", "mi piace giocare a calcio", ...). La sua, però, è stata "mi piace... chess, how do you say that?". Così l'avventura è iniziata!
Durante la mia esperienza di tirocinio in Australia a contatto con adolescenti mi era già capitato di cucinare in italiano: la mia "sorella ospitante" imparava, infatti, l'italiano solo perché i genitori avevano scelto quella materia al posto suo, perciò non mostrava nessunissimo interesse ad approfondire più dello stretto necessario; la ragazza era, però, un vero e proprio talento ai fornelli, così sera dopo sera, un po' per caso, ho iniziato a chiederle "in italiano questo è un mattarello, come si dice in inglese?" - "rolling pin" e così via. Prima abbiamo ripetuto gli articoli ("il matterello", "lo sbattitore elettrico", "la frusta da cucina", ...), poi la coniugazione di qualche verbo (mescolare, decorare, sbattere, accendere, mettere in forno, pulire) e infine siamo arrivate a delle frasi complete ("cosa prepari?", "com'è? Buono?", "manca sale?", "metto in frigo?"). E non è importante che fosse lessico settoriale che non avrebbe potuto utilizzare granché in una reale conversazione in italiano di livello A1 (Masterchef a parte), perché in quel momento ci stavamo giocando il cosiddetto "filtro affettivo", cioè quella barriera (psicologica, emotiva, mentale) che favorisce o ostacola l'acquisizione linguistica, e le emozioni che lei legava alla lingua italiana.
Note to myself al tempo:
a volte è meglio lasciar perdere la grammatica e il programma per investire del tempo sull'obiettivo a lungo termine, cioè la felicità dei nostri apprendenti durante il contatto con la lingua-target.
Terminato il mio periodo di permanenza "down under" e con i rudimenti di una TPR alle spalle, ne siamo uscite entrambe arricchite: lei di lessico in italiano per leggere le ricette di Giallo Zafferano (sito che consiglio di far conoscere ai nostri studenti quanto prima) e io sì di qualche chilo di troppo, ma soprattutto di un'esperienza didattica che mi sarebbe rimasta d'esempio per il futuro.
Lungo preambolo a parte, per ritornare al focus di partenza: da cucinare in italiano in Australia a giocare a scacchi in italiano in Austria, il passo è stato piuttosto breve...

L'attività didattica
"Ah, ti piace giocare a scacchi?"
"Sì."
"E sei bravo?" (pollici all'insù) "Sei un campione?"
(sorriso imbarazzato, poi espressione concentrata) "Un poco..."
"Ah, un po'..." (pausa per assimilare la correzione) "Allora vediamo."
Prima gli ho chiesto di disegnare su un foglio una scacchiera, dopodiché siamo partiti dai numeri (da 1 a 8) e dalle lettere (dalla A alla H) scritti accanto, per poi arrivare a coprire tutto l'alfabeto e i numeri fino a cento ("quanti pezzi usi per giocare a scacchi?", "Quanti spazi vedi?").
Il secondo passo, con una vera scacchiera davanti agli occhi, è stato il nome dei pezzi, con tanto di articoli, al singolare e al plurale ("questo è il cavallo", "quanti cavalli vedi?", "Ah, i cavalli sono quattro allora" > "questa è la regina", "quante regine vedi?", "Una regina qua e una qua, le regine sono due, no?" > "questo è l'alfiere", "gli alfieri sono quattro" > "questo è il pedone", "i pedoni sono sedici" > "questa è la torre", "le torri sono quattro"). Così, passo dopo passo, abbiamo costruito insieme la tabella degli articoli e sono emerse le prime domande ("perché l'?"), sintomo di un vago interesse.
Il terzo step sono stati gli aggettivi e la concordanza ("il re è bianco", "la regina è bianca", "l'alfiere è nero", "il pedone è nero", "i cavalli sono bianchi", "le torri sono nere"), mentre il quarto le espressioni c'è/ci sono ("quanti cavalli ci sono sulla scacchiera?", "c'è un cavallo nero o ci sono due cavalli neri?") e alcune preposizioni ("la regina è accanto al pedone?", "no, la regina è dietro al pedone, ma accanto al re") in tutte le varie possibili combinazioni. Senza mai dimenticare la pronuncia (le doppie, i suoni C e G sordi e sonori, le labiali P e B, la R).
Un'ulteriore spinta per la motivazione è stata, inoltre, la scoperta dell'esistenza della Partita a scacchi a personaggi viventi che ha luogo ogni due anni nella cittadina veneta di Marostica - anche se "non è una partita vera!", ma semplicemente una rievocazione storica in costume. Lo spettacolo, infatti, ripercorre la storia della bella Lionora e della trovata del padre, il furbo castellano di Marostica, che, per evitare un inutile spargimento di sangue, propose di trasformare il duello all'ultimo sangue tra i due spasimanti della figlia in una nobile partita a scacchi.
Abbiamo guardato dei video, commentato delle immagini, fatto delle ipotesi. E da lì in avanti, piano piano, l'italiano è diventato a poco a poco uno strumento di comunicazione anziché qualcosa di inutile da imparare con fatica, sudore e lacrime.
In conclusione? No, forse non tutti i nostri apprendenti arriveranno mai a leggere la Divina Commedia in versione originale, e forse va bene anche così. Ma per ogni spigolo che saremo state/i in grado di smussare, per ogni filtro affettivo che saremo riuscite/i ad abbassare, avremo buttato un piccolo seme di educazione multilingue centrata sui bisogni del singolo studente che chissà, forse in futuro, in modo del tutto imprevedibile, comincerà a germogliare e a propagarsi.
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